Un pallone da pallavolo, uno sguardo e un “cinque”: a tu per tu con le detenute

Sociale ,

Il racconto di un volontario che insieme alla sua squadra di pallavolo è entrato in carcere per giocare contro le detenute della sezione femminile del S. Anna a Modena

Per comodità riportiamo a seguire il testo integrale dell’articolo firmato dal giornalista Davide Berti.

“Il rumore del cancello che ti si chiude alle spalle non è come quello di casa. È più profondo. Ti entra dentro mentre tu entri dentro.

I duecento passi che ti portano al secondo controllo, gli ultimi all’aria aperta, li percorri in punta di piedi perchè il silenzio è quasi irreale. Hai paura di disturbare, anche se sei lì proprio per provare a rompere quella monotonia assordante che rischia di schiacciare la vita di chi è detenuto.

La burocrazia comincia a farsi sentire: documenti, controlli, perquisizioni. Giusto. L’acqua in bottiglie di plastica, la torta già tagliata, le patatine possono passare. Serviranno dopo, prima c’è da capire dove siamo. Le scale di metallo, la porta si chiude alle spalle. Arriviamo davanti alla sezione femminile del carcere di Sant’Anna.

Una trentina di detenute che aspettano di dedicare la loro ora d’aria del sabato mattina ad una partita di pallavolo. Camminiamo tra i corridoi, un’altra porta che si apre e si chiude a più mandate. Sul muro di fronte un cartello: “passeggio”. Un corridoio di cinquanta passi che starebbe stretto a chiunque.Oggi però c’è il sole, si può uscire in uno scampolo di terra chiuso da muri di cemento che ti lasciano vedere solo un fazzoletto di cielo: ci sta il campo, stretto, ci stanno tre panchine, una lingua di prato dove raccogliere un sospiro di ombra.Ma soprattutto ci sono loro, che durante l’anno giocano quando possono. E ci siamo noi, scalcinati pallavolisti di un tempo che fu.

Tocca a noi perchè il Centro Sportivo Italiano ci ha inserito nel progetto di volontariato “Il mio campo libero“.

Le attività sono tra le più disparate: entrano nel corso dell’anno alcuni studenti dell’istituto Fermi e del liceo Sigonio, entrano le Seven Fighters di Formigine – una squadra di mamme super – entra la musica, entrano le pagine di Joyce. E si legge anche con il gruppo di lettura per la festa delle famiglie dei detenuti legato al Festival Passalaparola. C’è, insomma, chi fa tanto di più: Emanuela, Federica, Greta, Alice, Marco ci sono sempre. Noi ci siamo oggi con la maglia della nostra Balena e con un pallone.

Forse quel pallone serve più a noi che a loro per vincere l’emozione.

Raccolti in cerchio sul campo, ci presentiamo: «Noi siamo una squadra di amici che si è ritrovata dopo 20 anni e siamo cresciuti formando un gruppo ancora più numeroso unendo ciò che la vita ci aveva portato in questi 20 anni». Loro rispondono: «Noi siamo una squadra di persone che non si conoscono, non siamo neanche una squadra perchè giochiamo poco. E siamo qui perchè abbiamo fatto qualche cazzata. Ma abbiamo voglia di divertirci». L’atmosfera cambia, “il non essere all’altezza” resta. Le squadre sono miste. Il classico “cinque” pallavolistico è un gesto universale. Siamo tutti insieme.Scrive Guido, che è quello che più di tutti ha giocato in alto, fino alla serie B: «La pallavolo é da sempre stato il mio sport e per la prima volta dopo tanti anni mi ha permesso di vivere un’esperienza molto importante, utile ed indimenticabile.

La timidezza iniziale ha lasciato il posto al gioco e alla condivisione, aspetti che magicamente il campo di gioco riesce a trasmettere a tutti indistintamente.

Grazie al mio sport, e a chi mi ha permesso di vivere questa giornata».Scrive Chiara, capitano della squadra: « Il senso di una stretta di mano, di uno scambio di sguardi, di un abbraccio. Di una speranza. Esperienza intensa. Usciamo in silenzio, come siamo entrati. Con mille domande nella testa. Con la consapevolezza che la disponibilità ad essere qui non era una questione di tempo, ma di relazione.

E guardiamo gli occhi delle ragazze volontarie che si mettono in gioco, altro che in campo. Si giocano loro stesse, con la disponibilità continuativa nella partita della relazione. Che è l’unico rimedio per lo stereotipo e il pregiudizio. E che ti dice chi sei aldilà di cosa hai fatto”.

Davide Berti

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