Dalla negazione, alla iperstimolazione, dalla paura al coraggio: la dott.ssa Francesca Scalise, psicologa dell’età evolutiva e dello sport, ripercorre con noi le diverse fasi che abbiamo vissuto nelle ultime settimane
Questo tempo sospeso ha investito tutti.
Cosa ci è successo? Quali emozioni si sono attivate?
Lo abbiamo chiesto alla dott.ssa Francesca Scalise, psicologa dell’età evolutiva e dello sport che collabora con il Centro Sportivo Italiano di Modena e nelle scuole superiori.
Lunedì 11 maggio ha tenuto per CSI Modena il primo di due incontri gratuiti dedicati a famiglie e allenatori, sul tema “Psicologia e ragazzi: il tempo sospeso e la ripresa”.
“Quello che stiamo vivendo è un processo che vive di tante fasi, dove non è chiaro l’inizio e nemmeno la fine: si è innescato qualcosa che di continuo si modifica, cambia.
Il primo momento è stato quello della negazione: “non sta succedendo veramente”. Quando abbiamo capito che dovevamo per davvero rimanere a casa, si è aperta una nuova fase che ha aperto l’attenzione sulla necessità di adattarsi ad una nuova quotidianità: e questo ci ha investito come un uragano. Abbiamo cercato di adattarci ad una vita che non ci apparteneva, ci siamo concentrati sul fare. Tutti abbiamo fatto”.
Abbiamo vissuto una sorta di “iperstimolazione”?
“Esatto. Sicuramente controproducente, perchè questo tempo lo dobbiamo intendere come un tempo “sospeso”, che ci ha comunque imposto di fermarci, non di continuare a fare in modo ossessivo. Dopo la fase del fare, purtroppo siamo passati ad una fase recente: la saturazione ben sintetizzata dal “non ne posso più, lasciatemi stare”; una saturazione che a sua volta ha portato l’apatia, l’andare contro ciò che si sente. Questa è una fase molto delicata, perché ci ha reso scarichi”.
Francesca, cosa ci dici invece della paura: come si è trasformata nel tempo questa emozione?
“Con la paura stiamo ancora facendo i conti. Prima c’era la paura del contagio, poi è diventata paura dell’isolamento; ora che il lockdown si è allentato, c’è la paura del tornare a vivere. Tutti ci chiediamo: che cosa mi succederà? Questo, perchè abbiamo fatto così fatica ad adattarci che il pensiero di tornare alla socialità è comunque faticoso: significa riadattarsi ad un mondo che abbiamo smesso di conoscere. Insieme alla paura, poi, c’è la voragine dell’incertezza. E’ il tempo sospeso, del dubbio, in cui non abbiamo certezze”.
Un tempo sospeso che dobbiamo in qualche modo vivere e accogliere?
“Esatto. L’unica certezza che oggi abbiamo, è che viviamo nell’incertezza: non dobbiamo combattere questa incertezza ma accoglierla, “deporre” in qualche modo le armi e pensare che questo momento non lo possiamo controllare. Incertezza del domani significa che non possiamo avere certezza del controllo del futuro, questo è il primo passaggio da fare, senza il quale non possiamo pensare di iniziare a ricostruire”.
Come possiamo immaginarci un ritorno alla “normalità”, che poi è il tema del prossimo incontro del 18 maggio?
“Per tornare alla vita, alla nostra socialità, per stare in gruppo, per tornare a sorridere e a stringerci la mano, ad abbracciarci, dobbiamo puntare sul coraggio. Non sto parlando di incoscienza, attenzione, o di sottovalutare il rischio: penso ad Aristotele, che indicava nel coraggio la prima delle virtù umane. Avere coraggio non significa sottovalutare il rischio e buttarsi, significa piuttosto essere consapevoli dei rischi ma decidere comunque di fare una cosa, di provare a “muoversi”, ed è chiaro che per muovermi devo per forza riuscire ad affrontare la paura, che mi blocca”.
Prendere coraggio e decidere di superare la paura: come possiamo trasmettere questo concetto ai nostri figli, che vivono le nostre emozioni?
“Qualche giorno fa ho scelto di abbracciare una mia cara amica, valutando dapprima il rischio che correvo. Ho avuto coraggio, ho valutato che potevo in una certa misura assumermi il rischio consapevole del fatto che abbracciare un amico, o un parente, non significa mettersi in pericolo di vita. Nel prossimo incontro insisterò sul ritorno graduale alla normalità:per poterci riaprire al mondo e agli altri esseri umani”.
Ma per fare questo dobbiamo essere coraggiosi. In questi giorni ho visto in giro nei parchi adolescenti in piccoli gruppi con la mascherina: è chiaro che ai bambini non possiamo vietare il contatto, non possiamo instillare il loro la paura del contatto, ma possiamo insegnare loro che è possibile incontrare un amico utilizzando un dispositivo di sicurezza che è la mascherina, nel momento in cui è impossibile mantenere la distanza”.
Come possiamo immaginare il ritorno ad uno sport di squadra, dei nostri figli, ad esempio?
“Credo sia molto importante insistere sull’adozione di misure di sicurezza, ma non sul vietare i contatti: nei campi sportivi, a scuola, non possiamo dire ai bambini di non avvicinarsi ai propri coetanei. Possiamo dire loro che possono stare insieme, ma con qualche cautela. Non sgriderò mai un bambino che metterà la sua mano sulla spalla di un amico. E’ importante non alimentare il panico, che in un attimo potrebbe prendere il sopravvento. Questa fase 2 deve prepararci alla fase 3, quando torneremo ad aprirci alla vita sociale e al mondo; dobbiamo convivere tra il proteggerci e l’avvicinarsi agli altri. Tutte le gabbie anche quelle dorate, sempre gabbie restano. E’ vero che in questo periodo in casa ci siamo sentiti al sicuro, ma siamo pur sempre in una gabbia, seppur dorata, e quando ci mettiamo in gabbia ci proteggiamo dall’esterno ma questo ci impedisce di andare verso l’esterno. Da protezione, il rischio è che diventi diventa prigione”.
Francesca ci ha consigliato anche qualche libro per i più piccoli:
– “I colori delle emozioni”, di Anna Llenas, Gribaudo edizioni
– “Mal di Paura”, di Chiara Ingrao, edizioni Corsare
-“A che pensi?”, di Laurent Moreau, edizioni Orecchio Acerbo
Ringraziamo Francesca Scalise, per la sua grande disponibilità.