Dagli anelli di Piccadilly Circus alla Primavera di Praga: il secondo racconto di Bar Sport ci fa incontrare una coppia leggendaria
Proviamo per un istante ad immaginarci questo scenario: un alieno sbarca sulla Terra col particolare obiettivo di individuare i periodi del Novecento in cui tutto il pianeta si è fermato. C’è un metodo infallibile: può consultare l’elenco dei Giochi olimpici e osservare dove sono posizionati gli asterischi. Ogni asterisco sta per ‘manifestazione non disputata’. Ne vede cinque: alcuni nella lista delle edizioni estive (Berlino 1916, Tokyo 1940, Londra 1944) e un paio in quella riguardante le discipline invernali (Sapporo 1940, Cortina 1944). Poi guarda in fondo alla pagina e vede un pallino, che significa ‘edizione rinviata’. Riguarda a modo e, sì, la città è proprio la stessa che ottant’anni prima aveva ricevuto un asterisco. Tokyo.
Facendo nostra la leggerezza di cui parlava Italo Calvino, quella che “non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”, e prendendo spunto dalla ricerca del nostro alieno, ci rendiamo conto di essere immersi in una fase storica che entrerà nei libri di scuola, esattamente come i due conflitti mondiali.
Per descrivere Londra 1948, la prima edizione estiva post-guerra, c’è chi ha utilizzato queste parole: “La ripresa dei Giochi fu come il ritorno del sole”. Non un anonimo, ma l’uomo che andiamo ad incontrare nelle prossime righe insieme alla donna che, esattamente come lui, nasce il 19 settembre del 1922. Eppure non si tratta di due gemelli, ma di un marito e una moglie.
Siamo nella primavera del 1941, in Cecoslovacchia. Emil Zatopek, cresciuto con la passione per il calcio in una famiglia umile e numerosa, è un diciottenne che lavora presso una fabbrica di scarpe. E proprio la Bata organizza una gara alla quale alcuni dipendenti sono obbligati a partecipare. Emil è poco entusiasta, non sa che sta per compiere il primo passo verso qualcosa di meraviglioso. Scatta subito la scintilla: capisce che la corsa può far venir fuori la sua parte migliore, e allora corre, corre, corre. Nel 1946, dopo una guerra che solo sul territorio cecoslovacco ha visto morire circa 400mila persone, c’è l’europeo di atletica ad Oslo, in Norvegia. L’ex operaio della Bata, adesso arruolato nell’esercito per meriti sportivi, coglie un bel quinto posto nei 5mila metri: buona la prima.
Anche Dana Ingrova, che prenderà poi il cognome Zapotkova, è un’atleta della nazionale. La sua infanzia, come quella di Emil, è trascorsa nelle terre della Moravia-Slesia. Lei non corre, lancia. E col suo giavellotto si imbarca per Londra. I due si conoscono già, ma nell’agosto del 1948 i cinque cerchi sono decisivi per creare un rapporto che durerà per sempre. Emil torna a casa con due medaglie e due anelli: oro nei 10mila, argento nei 5mila e… un paio di ‘souvenir’ presi in una gioielleria nella zona di Piccadilly Circus. Dana, protagonista di un bel lancio in gara, capisce di aver metaforicamente lanciato anche una freccia nel cuore di Emil e accetta la proposta di matrimonio. In ottobre le nozze.
Se la fiamma olimpica di Londra gioca un ruolo decisivo per la loro vita di coppia, è quella di Helsinki a spedirli nella leggenda sportiva. E pensare che Emil rischia di non partire neppure. Dopo aver vinto due ori europei a Bruxelles nel 1950 ed essere uno degli atleti più attesi in assoluto, alla vigilia annuncia di voler rimanere a casa per solidarietà nei confronti di un proprio compagno, che la federazione aveva escluso per ragioni politiche. Dopo il suo ‘no’, i vertici cecoslovacchi fanno retromarcia. Tutti in Finlandia.
Domenica 20 luglio 1952: è il giorno dei 10mila metri maschili. Emil vince l’oro, col suo classico stile. Mentre corre sbuffa, come sempre: per questo lo chiamano ‘locomotiva umana’. A carriera finita dirà: “Non avevo il talento per correre e sorridere al tempo stesso”.
Giovedì 24 luglio 1952: doppio impegno in famiglia. Mentre Emil sta correndo i suoi 5mila, Dana è nella pancia dello stadio, in attesa della propria finale. Per lui un’altra vittoria, ma lei non è da meno: il suo giavellotto vola più lontano di tutti gli altri, fino a raggiungere 50.47 metri. Oro e record olimpico. Al termine di un pomeriggio così incredibile, che pare scritto da un regista hollywoodiano, marito e moglie si incontrano in conferenza stampa. “Credo che la mia vittoria possa averla ispirata”, dice Emil ai giornalisti. La risposta di Dana non si fa attendere: “Davvero? Allora cerca un’altra ragazza, ispirala e vediamo se riesce a lanciare un giavellotto a cinquanta metri”. Sono appena entrati nella leggenda, lo sanno, e allora ci ridono su.
Domenica 27 luglio 1952: maratona, la gara simbolo dei Giochi. Oro? Sì. Niente di strano, possiamo pensare. Ma è un primo posto che assume dimensioni gigantesche quando impariamo che, quei 42 chilometri e 195 metri, Emil non li aveva mai percorsi in precedenza. Nel senso che non aveva mai gareggiato sulle strade di Helsinki? No, sembra incredibile, anzi è incredibile, ma si tratta della prima maratona della sua vita. La chiude in 2:23:03, con più di due minuti di vantaggio sul resto del gruppo. Tris: 5mila, 10mila, maratona. Nella lunga storia dei Giochi, da Atene 1896 a Rio 2016, nessun altro ha compiuto l’impresa. Non basta? Record olimpico in tutte e tre le gare. Considerando la famiglia per intero, sono quattro medaglie d’oro decorate da altrettanti record. Cosa può fare in estate una coppia di trentenni? Emil e Dana, il loro luglio finlandese, hanno scelto di viverlo così.
Le soddisfazioni non finiscono ad Helsinki. Per Emil ci sono ancora due medaglie europee (oro e bronzo a Berna) nel 1954, lo stesso anno in cui stabilisce due record del mondo: nei 10mila, migliorando il suo precedente, e nei 5mila. Mentre quella del marito termina nel 1957 (dopo un’altra partecipazione olimpica, Melbourne 1956), la carriera di Dana è più lunga. Tanto per non sfigurare tra le mura domestiche, anche lei nel ’54 torna dalla Svizzera con l’oro. Poi, a quasi 36 anni, nel 1958 fa registrare il primato mondiale, davanti alla sua gente. In quell’estate è in programma anche l’europeo: per riconfermarsi campionessa spedisce il suo giavellotto ancora più in là rispetto al lancio effettuato in Cesoslovacchia: 56 metri e 2 centimetri. Ciliegina? L’argento olimpico di Roma, nel 1960.
La grandezza di Emil, così come quella di Dana, non si ferma al lato sportivo. Lo testimoniano i corridori dell’epoca. Il britannico Pirie parla di “personaggio magnifico”, il francese Mimoun lo chiama “santo”, l’australiano Clarke afferma che “non c’è, e non è mai esistito, un uomo più grande di Emil Zatopek”. Una grandezza d’animo che, ad un certo punto, gli costerà qualcosa.
1968. Quattro cifre che, messe in quest’ordine, hanno un significato in tutto il mondo. Per la Cecoslovacchia è l’anno della Primavera di Praga. Alexander Dubcek, segretario nazionale del partito comunista, sogna un paese con più elementi di democrazia in tutti gli ambiti della società. Un sogno che, in una notte d’agosto, deve fare i conti con le truppe del Patto di Varsavia e la loro invasione. A fine giugno, quindi un paio di mesi prima, era stato scritto il manifesto delle Duemila Parole per sostenere Dubcek: tra le 70 firme, anche quelle dei coniugi olimpionici. Sport e storia. Storia e sport. A braccetto.
In ottobre a Città del Messico ci sono i Giochi. Durante il viaggio per andare ad assistere all’evento, la coppia ha un incontro casuale con Candido Cannavò. L’inviato della Gazzetta non si può lasciar scappare l’occasione di far due chiacchiere con loro, incuriosito specialmente dalle recenti vicende, sulle quali Emil si esprime in questo modo: “Nessuno di noi voleva tradire l’idea socialista, nessuno di noi voleva rinnegare un’ideologia. Rivendicavamo il diritto e la libertà di gestire noi stessi, senza oppressioni esterne, senza i guinzagli di Mosca. Questo voleva Dubcek, per questo si è battuto il popolo e io ho sentito il dovere di schierarmi. Abbiamo perso, ma il modo in cui è stato stroncato il tentativo appartiene alla barbarie. Non ho paura per una sola ragione: io sono Zatopek, non avranno il coraggio di toccarmi”.
In realtà, al rientro in patria, perde quasi tutto: viene espulso dal partito e dall’esercito ed è costretto, negli anni seguenti, a fare il minatore in una cava di uranio, poi a preparare sacchi di cemento e infine a guidare il camion di un ospedale. Una parziale riabilitazione c’è solo dopo sette anni di duri lavori: il ministro dello Sport lo assume per scovare bravi tecnici in giro per il mondo. Tra le sue infinite doti, infatti, c’è quella di saper parlare bene sei lingue. Si tratta del suo ultimo mestiere, prima di una meritata pensione vicino a Dana.
La sua vita esemplare si chiude in un anno olimpico, pochi mesi dopo Sydney 2000. Quando nel 2013 il magazine Runner’s World deve scegliere il corridore più grande della storia, Dana è una splendida novantenne. Le opzioni interessanti sono tantissime. Jesse Owens, Carl Lewis, Usain Bolt, per dire alcuni nomi. Alla fine ad essere riconosciuto come numero uno è l’uomo che, come scrive la redazione, “ha cambiato le corse”: Emil Zatopek. Sua moglie lo definisce “un cuore che correva: con lui ci siamo sempre divertiti e fatti ridere a vicenda, mi piace sempre ricordarlo”.
Dana, nel suo percorso, è stata una grandissima allenatrice. Jan Zelezny, detentore del record mondiale dal 1996, racconta: “Fu lei a mettermi in mano il primo giavellotto della mia vita. Per me è stata una musa, un’enciclopedia dello sport: faceva tutto con emozione e ti stregava”. Anche il record al femminile, guarda un po’, appartiene alla Repubblica Ceca: è di Barbara Spotakova, che descrive Dana come “una donna straordinaria, sempre informata sulle vicende di noi atleti: ogni incontro con lei è stato piacevole”.
Come Emil, anche sua moglie se ne va nel corso di un anno (che avrebbe dovuto essere) olimpico. All’età di 97 anni: due settimane fa. La storia nella quale ci siamo immersi, oltre ad imprese sportive e valori umani, è caratterizzata anche da curiose coincidenze del calendario. Ce n’è un’altra, sportivamente romantica. Il cuore di Dana ha smesso di battere il 13 marzo, un giorno dopo l’accensione della fiaccola ad Atene. È bello pensare che la magia olimpica abbia voluto rendere omaggio ad una sua grande ambasciatrice, facendo coincidere la sua ultima notte con la prima della nuova fiamma.
La fiamma dei Giochi di Tokyo. Una Tokyo ripiombata nello stesso incubo già vissuto 80 anni fa. Nel 1940 c’era la guerra, nel 2020 c’è un’emergenza sanitaria che non permette di gareggiare in sicurezza: tutto rinviato al 2021. Cosa diceva Emil Zatopek a proposito di Londra 1948? “La ripresa dei Giochi fu come il ritorno del sole”. Allora restiamo in attesa. Sarà bellissimo il giorno in cui, là nel paese del Sol Levante, risplenderanno ancora una volta i Cinque Cerchi.